_Svalbard
Svalbard
...the world's northern country...
Beh, io penso che le emozioni offerte dalle Svalbard non siano solamente paesaggistiche e naturalistiche ma siano soprattutto “interiori”, per ciò che ti lasciano dentro. Penso che nella vita di ciascuno di noi, ci sia spazio per cose inutili e per cose molto utili, c’è chi ritiene utile avere “la materia” a portata di mano e chi ritiene utile sapere che, un viaggio, possa cambiare la sua personalità, il suo modo di vedere le cose arricchendosi di un’esperienza che non sia solamente materiale ma che vada ben oltre.
Questo per me sono state le Svalbard, fatte di paesaggi stupendi e pendii immacolati ma soprattutto fatte in solitaria, vuoi per i casi della vita, vuoi per scelte, vuoi per destino o vuoi perché doveva proprio succedere così.
E’ un tipo di viaggio particolare, soprattutto per chi, come me, è amante della natura, dei posti incontaminati e del selvaggio, non è una meta “facile”, bisogna entrare nello spirito avventuriero perché, appena atterrati, le Svalbard ti catapultano in un mondo completamente sconosciuto, dove il quotidiano e la visione della vita nel day-by-day sono distorti, dove se non passa il pullman e rischi di rimanere all’aperto è una faccenda seria, dove non si può andare a fare un’escursione a piedi, rigorosamente con guida, senza il fucile, il lanciarazzi e la pistola.
Già sull’aereo che porta a Longyearbyen, cominciano le emozioni, in quanto, alle ore 00:45, quando si scorgono le cime nevose e frastagliate delle montagne avvolte da una luce di pieno giorno, ciò che si pensa è “ma dove sono capitato?”. Si è partiti da Oslo che stava imbrunendo e, dopo poco più di un paio d’ore, è di nuovo pieno giorno.
Il capitano dell’aereo comunica di allacciare le cinture, si sta atterrando a Longyearbyen, agli antipodi del globo, nel grande nord, a poco meno di un migliaio di kilometri dal Polo, in un gioiello incastonato tra il settantacinquesimo e l’ottantunesimo parallelo. Lontani da tutto, e la bellezza è proprio lì.
Non voglio narrare delle gite o delle escursioni effettuate, voglio raccontare della loro espressività, dello scricchiolio del ghiaccio sotto i ramponi, del sapore del vento gelido in vetta, del volo degli uccelli inseguendo la scia della barca, dello sbuffo delle balene, della bibita al pub e del silenzio tutto attorno a sé fatto per ascoltare i propri pensieri, sé stessi. Ed è qui che esce ciò che si è dentro, si sente solo la propria voce mescolata all’abbaiare dei cani, al suono delle onde del mare che si infrangono sulla costa, alla pioggia che ogni tanto ti bagna di goccioline gelide la faccia. Guardi in alto e perdi il tuo sguardo nell’orizzonte e pensi: “è proprio questo che cercavo”.
Il viaggio inizia ancora prima di prendere l’aereo, documentandosi su internet, con una mappa sulla scrivania, con una tazza di thè, con qualche briciola di biscotto sulla tastiera e con carta e penna. Lessi su internet, nel mio girovagare, una bella battuta: “ho provato a cercare le Svalbard nel mappamondo ma non le ho trovate perché erano coperte dal perno!”.
A mio modesto modo di vedere è proprio così, sono posti nei quali non ci puoi finire per caso, non ci si può fare un week end lungo, sono posti che devi assaporare e nei quali vuoi andare perché ti piace l’avventura e la natura più incontaminata, selvaggia.
Con la compagnia della macchina fotografica ho provato, sperando di esserci riuscito, ad immortalare le emozioni e gli scorci che più mi impressionavano anche se, in realtà, ogni angolo, ogni picco, ogni fiordo, sotto ogni condizione di luce, creava interessanti prospettive.
Ho cominciato a sentir parlare delle Svalbard durante un viaggio in Groenlandia qualche anno fa, mi hanno incuriosito i racconti delle varie persone con le quali ho parlato ed, incuriosito, ho cominciato a pensare seriamente ad una vacanza in quelle zone. Spinto da uno spirito avventuroso fatto di zaino in spalla e macchina fotografica al collo, ho prenotato, durante una calda mattinata estiva, un volo Milano – Longyearbyen (con svariati scali). L’insicurezza era tanta specialmente perché, un viaggio del genere, affrontato da solo, non era sicuramente il massimo, ho invece scoperto lì che, anche altri “avventurieri”, come me, provenienti da altre parti del mondo, avevano avuto la stessa idea.
Luce, silenzio, ululato dei cani e sussurro del vento tra le finestre del mio ostello o nei rifugi, sono ciò che mi ha accompagnato durante l’intera vacanza. Penso che la natura sappia dare molto alle persone che sanno coglierne le varie sfaccettature, non sono di certo una persona poetica, particolarmente sensibile o capace di esprimere emozioni meglio di altri, sono una persona normale a cui piace godere di ciò che la natura può dare. Penso di esserne stato capace, andando alla scoperta di stupendi posti in barca, a piedi o con gli sci, ho respirato ciò che le Svalbard mi volevano dire.
Come l’abbandono più completo di Pyramiden, cittadina russa capace, con il suo niente, di riempire gli sguardi di chi la osserva, sguardi stupiti da quanto si possa, per business, progresso e politica, alzare l’asticella, ma anche impressionati nell’immaginare le condizioni di lavoro del migliaio di persone, disperse, in questo remoto angolo di Terra completamente alla luce del sole per sei mesi e completamente al buio per altrettanti sei. Cittadina creata con l’intento di far notare al mondo quanto l’URSS fosse potente ed in grado di progredire anche in zone completamente inospitali.
L’abbandono di Pyramiden lascia il posto alle selvagge vette Nordenskjøldtoppen e Trollsteinen, lascia il posto ai ghiacciai a picco sul mare come quelli nel Nordenskiold.
Lascia il posto ad un rifugio nel bel mezzo di monti innevati dove, le coccole dell’husky groenlandese, sono l’unica tua compagnia nel giro di chilometri e chilometri, lascia il posto ad un sole che non ha voglia di tramontare.
Flora e fauna uniti in un’unica danza capace di immergere il viaggiatore all’interno di un perenne documentario, le Svalbard sono una meta capace di emozionare anche semplicemente guardandole senza fare nulla, l’emozione è l’ascoltare ciò che hanno da dirti attraverso i loro respiri.
Ho conosciuto molte persone lungo il mio girovagare, persone vere con le guance rosse dal freddo che, infreddolite, o all’interno dei negozi, sapevano consigliarmi questo o quello più consono alle mie esigenze, ragazzi e ragazze che, studiando per diventare guide o scienziati, si chiedevano come sarebbe stato il loro primo inverno completamente al buio. In ogni discorso, in ogni parola, in ogni scambio di idee, c’era la consapevolezza di essere in un mondo magico dove, convivendo con l’ambiente, le persone si sono create una loro identità fatta di un piccolo negozio di parrucchiere, di un paio di pub dove alle 19:00 chiudevano le tende per fare sembrare che fosse sera, di un supermercato pieno di ogni cosa.
Racchiudere in poche righe ciò che un normale ragazzo ha provato non è semplice, l’atmosfera, le fotografie, le sensazioni, le emozioni delle scalate, tutte realtà vissute nel profondo dell’anima con la consapevolezza che, questo arcipelago nel bel mezzo dell’Oceano Artico, fa parte di tutti noi ed è lì per dimostrare che la natura, pur facendole del male ogni giorno, è pronta a stupirci con la sua potenza ed immensa, semplice, smisurata bellezza.