_Mount Elbrus

Mount Elbrus

...because it’s there...

Tutto iniziò un paio di anni fa sul tetto d’Africa. Uhuru Peak a 5’895 mslm. Questa punta fa parte delle blasonate Seven Summits, cioè le cime più alte di ciascun continente. Ed allora andiamo dai, Monte Elbrus, 5’645 mslm nella profonda Russia Caucasica al confine con la Georgia, cima più alta dell’Europa continentale. Ma proviamoci diversamente, stile completamente alpino, senza portatori, senza supporto, con la tenda e sopratutto all’avventura sulla mitica parete Nord.
Si atterra a Mineralnie Vody per poi andare al campo base a 2’600 m dopo tre ore di jeep, e, specie nell’ultima mezz’ora, in mezzo a panorami mozzafiato e strade sterrate tra spazi sconfinati e praterie incontaminate. Lasciati dalla jeep, il sole all’orizzonte si fa semper più basso mentre le mucche al pascolo ci osservano nel nostro andamento lento fatto di uno zaino da 25 kg sulle spalle ed uno da 15 kg poggiato sulla pancia.
Al calar del sole la prima cosa da fare è attraversare un fiume su un ponte tibetano (fatto con un tubo per l’acqua) e poter, finalmente, piazzare la tenda per la prima notte.
La nebbia sale, l’Elbrus non si fa ancora vedere, ceniamo immersi nelle nuvole alte del campo base per poi pernottare in tenda per la prima volta in questa avventura.
Ci attende un mattino fatto di dislivello e chilometri. L’idea è quella di salire direttamente al campo alto a 3’700 metri ma, da subito, si capisce che non si può fare quel dislivello con 40 kg sulle spalle. Decidiamo quindi di fare il Campo 1 a 3’100 metri su un pratone costeggiato da un fiume appena sotto le Mushroom Rocks (a metri 3’200).

Si piazza la tenda e, prima di cena, di certo non si può evitare di andare a fare una passeggiata defaticante alle Mushroom Rocks, delle pietre che dominano la piana fatte a forma di fungo! Paesaggio lunare…
La luce lascia il posto all’oscurità e così anche la tenda si tinge di colori dorati del tramonto fino a divenire completamente nera. Illuminati dalle sole lampade frontali, si sta ancora un po’ fuori a respirare l’aria frizzante del tramonto appena passato e si va a dormire pensando a quella punta tinta di bianco che ci domina dall’alto e che si fa desiderare.
Di notte, un lieve temporale rinfresca (anche se non ce ne sarebbe stato bisogno) l’atmosfera nella tenda ma, il giorno successivo, è fatto di un sole rosso fuoco che illumina le due cime (Est ed Ovest) di un arancione caldo anche se in cima ci sono venti a 50 km/h e diversi gradi sotto zero.

L’obiettivo del nuovo giorno è arrivare al Campo Alto (o Campo 2) di 3’700 metri. Dopo un’abbondante colazione si smonta la tenda e la si carica nello zaino. Così come il giorno precedente, i “giri” previsti sono due in quanto, l’attrezzatura da portare è tanta così come il, fondamentale, cibo.
Si inizia subito con una rampa da 100 metri di dislivello e pendenze importanti che poi si addolcisce leggermente, seguirà qualche chilometro in piano per poi arrivare a due rampe spaccagambe tra i 3’450 ed i 3’700 m. Si comincia a vedere il ghiacciaio, il vento prende sempre più forza e l’altitudine rende lo zaino ancora più pesante. Passo dopo passo si arriva a fatica al Campo 2 davanti al gigantesco ghiacciaio dell’Elbrus che si fa vedere in tutta la sua bellezza ed impressionante mole.

Si monta la tenda sulla pietraia antistante l’inizio del ghiacciaio e, dopo un pranzo consistente, si ritorna giù al Campo 1 per prendere la restante parte dell’attrezzatura lasciata lì al mattino. Le ore passano mentre, con passi lenti, si ripercorrono gli stessi sentieri fatti al mattino. Le spalle ed il collo cominciano a fare male ma si è consapevoli che il Campo 2 è la “base di partenza” per la cima d’Europa. Non ci saranno più doppi spostamenti in futuro. Alle 18:00 tutto è stato trasferito e si comincia a cucinare qualcosa con il fornelletto da campo e la bombola di gas. La calda polenta e funghi Piemontese, portata con tanta fatica proprio per quest’occasione, aiuta a scaldare il corpo e la mente durante la fresca serata e, la tisana fatta scaldando l’acqua del ghiacciaio, aiuta ad entrare nelle braccia di Morfeo.
Di notte si alza un forte vento ma è tipico della zona e la tenda, ben salda, sembra vincitrice della battaglia.

Il giorno seguente è il primo giorno di acclimatamento. Non si può pensare di conquistare una cima sopra i 5’000 metri senza neanche acclimatarsi, l’obiettivo è circa a 4’600 metri in un punto chiamato Lenze Rocks. Sono una serie di monoliti separati tra di loro da circa 400 metri di dislivello dove si è soliti acclimatarsi. Si sceglie la più bassa a circa 4’600 metri per poi proseguire leggermente più in alto a 4’700 a vedere la traccia su ghiacciaio da percorrere per la cima.
Il corpo risponde bene e la mente è in perenne estasi vedendo la cima così ”vicina” a poco più di 1’000 m di dislivello, che però significano circa altre 6 ore di cammino come minimo.
Si mangia qualcosa li e si contempla l’orizzonte, ciò aiuta anche il corpo ad abituarsi all’altezza e si fa amicizia con le altre persone che stanno condividendo questo sogno!
Si rientra al Campo 2 e si lasciano ad asciugare sulle pietre al sole la corda, piccozza e ramponi.
La partenza per la cima è solitamente in una finestra tra le 00:00 e le 03:00, parliamo con gli altri alpinisti che si stanno preparando per la salita notturna e condividiamo mille esperienze alpine, ceniamo e ci prepariamo per andare a dormire con l’immancabile tisana. È importante bere tanto e nutrirsi correttamente per avere energie e non soffrire del cosiddetto “mal di montagna”.
Le previsioni del tempo non promettono bene per i giorni seguenti ma abbiamo iniziato a capire che non sono sempre state esatte visto che l’Elbrus fa un po’ quello che vuole. Nel giro di 5 minuti si passa da un sole rovente ad un vento gelido, non decidiamo ancora quando sarà l’attacco alla vetta e preferiamo aspettare il giorno successivo il nuovo bollettino.

Alle 6:00 ci sveglia un sole splendente ed il vulcano é lí che ci guarda, potrebbe essere la sera giusta ma le previsioni per il mattino seguente sono pessime…, decidiamo di farci un trekking defaticante fino a 4’200 metri e mangiarci qualcosa li in cima, sicuramente male non fa! Tornando al Campo 2 parliamo anche con altri alpinisti, sono decisi a partire questa notte…noi prendiamo la stessa decisione!
Pranziamo ed andiamo subito in tenda a riposare perché la sveglia è alle ore 23:30. Arriva ora di cena ed arriva anche l’oscurità, le nuvole pomeridiane lasciano spazio ad un cielo strepitoso, ah potessi avere qui il mio telescopio…la via lattea abbraccia la cima Est e le stelle del firmamento ci osservano come piccole formiche intrappolate nei nostri sogni.
Dopo cena si torna a dormire puntando la sveglia qualche ora dopo…

…è ora…é questo il giorno per il quale si é aspettato tanto e si é fatta tanta fatica, si esce dalla tenda e gli occhi si abituano istantaneamente all’oscurità, il cielo stellato e scuro fa da contrasto con il bianco candido del ghiaccio secolare, colazione, si chiude la tenda, si attraversa la pietraia verso il ghiacciaio, si mettono i ramponi, si accendono il satellitare e la lampada frontale, ci si lega e si pianta la piccozza sul ghiaccio. Si parte!
Somo le 2 di notte e il vento gelido gela la faccia quando, dal satellitare, si sente il ‘bip’ che indica il superamento deo 4’000 metri, alzando la testa si cominciano a vedere le due cime gemelle che si coprono di nuvole…andiamo avanti…4’200 – 4’500, comincia ad albeggiare sulle cime tutte intorno, il vento si fa sempre più forte ed entrambe le cime dell’Elbrus sono coperta dalla bufera…il sole fa capolino sopra le nuvole stratificate e comincia ad illuminare, di un timido colore rosso-arancione, il ghiaccio che stiamo calpestando.
A 4’800 metri e dopo 4 ore di progressione su ghiaccio, il vento si fa troppo forte e diventa molto difficile proseguire anche perché, per arrivare in cima, mancherebbero ancora 6 ore di cammino e circa 4 ore per ritornare al Campo 2, le previsioni del tempo non sono per nulla buone ed é inutile proseguire verso il brutto tempo a quelle altitudini.
La visibilità é fondamentale e vediamo anche diversi gruppi in cordata, partiti qualche ora prima di noi, rinunciare. Si decide quindi di tornare indietro. Scendendo, il tempo non migliora affatto ed il freddo si fa sempre più pungente, il panorama però é fantastico e le nuvole non sono ancora arrivate sulle cime circostanti, é incredibile osservare tutte le montagne attorno all’Elbrus che, come in un grande abbraccio, lo circondano. Sui 4’000 – 4’200 m la temperatura quando diventa un po’ piú più sopportabile, decidiamo di sederci a contemplare il paesaggio per qualche minuto (complice anche un pó di stanchezza). Sono le 9 del mattino, il sole é alto e fa ”abbastanza” caldo, guardando verso le cime, la bufera continua a non lasciare tregua e pensiamo che la scelta é stata giusta anche perché il tempo sta peggiorando sempre di più.

Con calma, torniamo al Campo dove la nostra avventura sta volgendo al termine, avremmo ancora un giorno per tentare la vetta ma, una lievissima pioggia misto ghiaccio, comincia a cadere lieve e poi sempre più fitta, pioggia che rimarrà sopra le nostre teste per tutto il giorno successivo.
L’indomani decidiamo quindi di smontare la tenda per tornare nuovamente al Campo Base dove, una settimana prima, tutto é iniziato.

Sicuramente l’obiettivo era quello di arrivare sulla Cima d’Europa ma, si sa, che é la montagna a decidere quando farsi scalare e deve quindi essere rispettata. Questa esperienza é servita per conoscere l’ambiente e capire i ”ritmi” dell’Elbrus, si lascia questo fantastico paesaggio con negli occhi magnifici momenti di una fantastica avventura…arrivederci Elbrus e grazie per un’esperienza indimenticabile.

Alex Battù background image